27 Jan RICORDO DI FEDERICO NAVARRO

federico

Sono stata allieva e amica di Federico Navarro, il medico psichiatra che ha sistematizzato l’indirizzo psicoterapeutico denominato: Vegetoterapia Carattere Analitica.
Posso dire di averlo conosciuto come il Prof. Navarro e come Federico, il che significa, nel suo linguaggio, che ho avuto la fortuna di entrare in contatto con il medico e con l’essere umano.
I primissimi approcci, in quanto giovane studentessa e paziente in Vegetoterapia, li ho avuti tra la fine degli anni ’80 e gli inizi degli anni ’90, negli incontri promossi dalla Società Europea di Orgonomia, la S.E..Or. a Roma.
Ricordo l’entusiasmo di quegli anni, la mia scoperta di un mondo, quello della psicoterapia corporea, e il dinamismo degli allievi, il fermento di idee e iniziative che si sviluppavano non solo tra i medici e gli psicologi che lo seguivano, ma anche tra coloro che, impegnati a vario titolo nel sociale, trovavano nelle idee di W. Reich e negli sviluppi “Federiciani”, una inesauribile riserva di spunti per andare avanti con il proprio lavoro e la propria vita. Federico Navarro è stato molto più di un insegnante e di un terapeuta. E’ stato un catalizzatore, il punto di riferimento di un grande movimento, e di una crescita individuale e collettiva. Sono stata testimone di una moltiplicazione di germogli di quell’albero, ramificato e solido, che è stato Federico.
A quei tempi era dinamico, sicuro di sé, allegro. Si muoveva tra il Brasile, l’Italia, la Francia, la Spagna, e tanti altri luoghi, tanti altri posti dove nidificava per un po’, lasciava i suoi semi, e poi andava via, forte, instancabile, pieno di convinzione e di fiducia. Lasciava lì nuovi progetti, nuovi nati, che poi, crescendo, avrebbero prodotto altri germogli, e generato nuove vie, sintesi magari originali, sulle tracce sia della fisica orgonomica, sia del Pensiero Funzionale, sia degli aspetti più prettamente terapeutici legati all’Analisi del Carattere e alla Metodologia della Vegetoterapia.
Perché questa è la bellezza del pensiero di Reich: abbraccia la vita nelle sue molteplici forme, e non solo il ristretto ambito delle psicopatologie.
Ricordo, a quel tempo, di aver raccolto, di quel pensiero, soprattutto l’aspetto della prevenzione e dell’ ecologia, organizzando incontri sulle problematiche legate al nucleare e al movimento dei Verdi. Fu una iniziazione per me, l’inizio di un percorso di cui ho fatto poi tesoro quando, dal 2000 in poi, sono andata sviluppando una Metodologia della Prevenzione basata sul pensiero funzionale.
La seconda parte della mia esperienza con Federico si è sviluppata nel periodo dal 1999 alla sua morte, avvenuta quattro anni dopo. Ricordo di aver incontrato un Federico più anziano e stanco, con una patina di tristezza negli occhi, ma ancora vivo e fermo nelle sue convinzioni. Parlava del ritorno alla sua terra d’origine, Napoli, come al “ritorno dell’elefante”, per la sua ultima ora, per morirci.
Ho potuto vederlo spesso in quegli ultimi anni della sua vita : lo frequentavo a Napoli, dove mi recavo per gli incontri didattici dell’Istituto Federico Navarro, di cui ho fatto parte integrante. Ricordo le mie impressioni nell’ascoltarlo mentre insegnava: c’era, in quelle lezioni, la forza di una mente aperta, limpida, e molto acuta, come un grande spazio aperto, ricco di spunti. Era, a suo modo, geniale.
Ma ho anche vissuto un’altra angolazione di Federico: per ben due anni, ho compiuto il mio personale percorso di controllo e supervisione con lui.
Anche di questa esperienza ho un ricordo molto vivido: come terapeuta era scarno, asciutto, di poche parole. Fare gli acting con lui significava sperimentare la forza del lavoro energetico in modo “puro” senza interpretazioni analitiche (le “chiacchiere” come le chiamava lui).
Ho avuto modo di conoscere, alla fonte, la Vegetoterapia Carattero-Analitica, e di apprezzarla nel suo straordinario rigore metodologico.
Apprezzavo e stimavo molto Federico, e gli volevo molto bene. Lui ha ricambiato questa fiducia e questo affetto con il suo incoraggiamento: più volte ha dato la patente di scientificità ai miei studi sulle Metodologie della Prevenzione, incaricandomi di portare queste mie ricerche nell’ambito degli incontri internazionali delle varie scuole.
Talvolta ci siamo scontrati. Era difficile non farlo, soprattutto perché l’altro aspetto del suo rigore, era la sua intransigenza: non era facile stargli vicino, non aveva capacità diplomatiche, spesso diceva le cose in modo crudo e al netto di premesse o giri di parole, senza troppi complimenti.
Per la maggior parte del tempo passato con lui, anche al di fuori dell’ambito terapeutico, ho conosciuto una persona piacevole, molto interessante, e dotata di grande umanità. Ricordo i pranzi e le cene al ristorante con lui e con gli altri colleghi dell’I.Fe.N. ; si sedeva e subito chiedeva al cameriere di turno:” Per favore, pane e vino”. Era importante per lui avere questi due alimenti a tavola. Credo che gli sarebbero bastati per nutrirsi. Si alimentava poco, ed in modo molto semplice. Era spartano.
Era anche pigro. Ricordo che diceva sempre:”La scale fanno male al cuore”. E l’ho visto prendere un taxi anche per pochi metri . Aveva molte contraddizioni, che lui stesso non viveva come tali, ma per me lo erano, e non riuscivo a comprenderle, Il fumo, per esempio, Fu con grandissimo sdegno che reagì alla legge Antifumo dell’allora Ministro Veronesi ( quella che proibiva il fumo in luoghi pubblici). Scrisse una lettera sdegnata, in cui sottolineava l’infondatezza delle ricerche sulle interrelazioni tra fumo e cancro.
Anche se so perfettamente che il cancro è una risposta organica ad un intreccio ben più complesso di fattori neuroimmunitari ed energetici, non sono mai stata d’accordo con queste sue posizioni, e stavo malissimo (arrabbiandomi anche molto con i colleghi che lo seguivano) in queste riunioni “fumose” in cui ero costretta a respirare il fumo altrui. Ma non c’era verso di dissuaderlo: per certi aspetti era testardo.
C’era anche un contrasto tra il paradigma reichiano da lui assunto del funzionamento energetico dell’essere umano e quella che potrei definire un atteggiamento scettico nei confronti della vita oltre la morte. Ricordo che spesso, parlando di un suo vecchio collega e amico ormai morto, diceva che aveva fatto un patto con lui: il primo dei due che fosse morto sarebbe comparso in sogno all’altro per dargli dei “numeri”. Poi aggiungeva:”Non è mai comparso!”, volendo dire che questa era la prova che non poteva esistere nessuna vita oltre la morte. Questa visione amara, pessimistica, era per me difficilmente conciliabile con i suoi studi sul Nucleo Essenzialismo, compiuti ancor prima del suo incontro con Ola Raknes e con il pensiero reichiano, e con il principio di unità funzionale essere umano-cosmo. Mi chiedevo: che ne è, alla morte, del nucleo energetico, ovvero dell’essenza eterna dell’uomo? Credo, oggi, che Federico concepisse questa “essenza eterna” come qualcosa che, alla morte, va a fondersi con il tutto, con l’energia cosmica, indifferenziata, perdendo la propria individualità. Di certo aveva un approccio laico nei confronti di temi come questo.
Le sue debolezze, le sue fragilità, le sue contraddizioni, erano parte del suo essere: questo era Federico, e lo mostrava, nel bene e nel male. E’ stato amato e odiato, ha avuto grandi amici e grandi nemici: non è stato un essere banale. Non sta a me giudicarlo per come ha vissuto, e tutti quelli che lo hanno incontrato hanno vissuto con lui esperienze diverse.
Negli ultimi tempi della sua vita l’ho visto soffrire molto per alcune separazioni, anche traumatiche, che ha dovuto affrontare. Ho anche visto avvicinarsi a lui persone interessate a prendere, per poi allontanarsi e sparire. Sono stata testimone del suo desiderio che la scuola da lui fondata, l’I.Fe.N., proteggesse e sviluppasse il suo lavoro. In questo senso posso dire che, di quanti hanno proseguito nel suo solco, solo i terapeuti dell’I.Fe.N. , ad oggi, sono in grado di trasmettere ed applicare nella clinica la sua Metodologia in modo fedele e sistematizzato, con gli sviluppi e le evoluzioni da lui stesso approvati. Questo senza nulla togliere a chi, tra i suoi allievi, sta proseguendo la ricerca in altre rispettabili direzioni.
Concludo dicendo che Federico ha realizzato il suo progetto umano e percorso il suo cammino tornando per “l’ultimo atto” nella sua Napoli, in modo coerente con le scelte compiute nella vita.