07 Sep Teoria della complessità nel quotidiano

La Teoria della complessità nel quotidiano

Adottare un Modello di conoscenza ispirato alle Teorie della Complessità significa riconoscere che non esiste una spiegazione unica e completa alla realtà vissuta ed essere capaci di accogliere la compresenza in noi di più elementi anche in contrasto tra di loro.

Tale Modello considera più sano il sistema con un maggior grado di complessità: che vuol dire nel nostro quotidiano?

Bisogna premettere questo: una persona con un Io molto fragile, si organizza in modo “omeo-statico” ovvero si difende dalla quantità di stimoli interni ed esterni con una rigidità che aumenta con il passare del tempo. Ci si ancora a dei vincoli autoimposti e si rifiutano novità che introducono anche un minimo di disorganizzazione nel proprio sistema di vita.

Non si tratta solo una rigidità di pensiero, ma anche corporea. Occhi che tendono alla fissità, spalle incurvate cronicamente oppure petto in fuori, diaframma bloccato, bacino tirato indietro, sono tutti segnali di una incapacità di essere flessibili, aperti emozionalmente e mentalmente.

Il processo di guarigione proposto in psicoterapia propone di passare da uno stadio in cui predomina il bisogno di rassicurazione e di certezza, ad un livello di funzionamento in cui può affacciarsi la capacità di accettare l’incertezza e di convivere con le contraddizioni. Lo fa creando le giuste motivazioni al cambiamento e sollecitando il desiderio (spesso soffocato dalla paura) di novità e di esplorazione.

Le psicoterapie efficaci adottano un Modello complesso di lettura della realtà . E non solo per quanto riguarda l’interpretazione dei massimi sistemi, ma nel modo di affrontare la vita . Man mano che l’individualità emerge, grazie ai nuovi strumenti, è possibile convertire il proprio sistema da chiuso e statico ad aperto e dinamico.

Ad un livello di evoluzione successivo a quello della semplice guarigione troviamo persone in grado di accettare una complessità sempre maggiore nella propria esistenza. Sicuramente questo corrisponde alla capacità di tollerare la “non-certezza”, l’idea di non sapere, di lasciare più soluzioni aperte anche per diverso tempo. L’Io in questo caso deve avere un grado sufficiente di flessibilità che consenta di attraversare periodi di caos produttivo. Un Io abbastanza stabile è in grado di procedere nelle tempeste della vita con una propria coerenza interna, non rigida e non statica, che gli consentirà di attraversare stati nascenti in grado di ricomporre nuovi equilibri: i periodi di transizione da una fase di vita ad un’altra sono appunto ricchi di contraddizioni, di coppie di opposti che si sfidano. Diventare uomo o restare attaccati all’immagine del bambino? Vivere il passaggio al ruolo genitoriale o continuare a comportarsi come un figlio? Restare in  una coppia insoddisfatta o separarsi? Accettare il conflitto o fuggirne? Accogliere le potenzialità  dell’età senile o passare i propri giorni a rimpiangere il passato?

Nel corso della vita, quanti di questi passaggi stretti incontriamo? E quante infinite possibilità, che spesso non vediamo, si aprono sfuggendo alla rigida categorizzazione di un binomio, al condizionamento che tertium non datur?? Impariamo a lasciarci andare, a diventare creativi, diventare capaci di non sapere, di affidarci all’ignoto, lasciando emergere una percezione inaspettata di noi stessi, delle relazioni, del mondo .