09 Mar Coronaombra

In questo momento di emergenza sociale non dimentichiamo il risvolto personale e somatopsichico (1) che si fa avanti nelle nostre vite. La potenza di questo evento è data dal fatto che nessuno, proprio nessuno, ne resta escluso.

Il primo punto riguarda il seguente interrogativo: che succede in una situazione di totale deprivazione di tutte le occupazioni, necessarie e non, che riempiono il nostro tempo?

Ormai è sotto gli occhi di tutti che non sarà possibile, per un periodo sufficientemente lungo da mandare i più fragili fuori di testa, stare dietro a tutte le attività usuali e routinarie, ma anche a quelle ludiche e straordinarie ( il viaggio nella località esotica? Le terme rilassanti? Il pub?).

Via via , e nel giro di un rapido giro di giostra, tutto quello che ha sempre costituito il centro delle nostre soddisfazioni e delle nostre lamentele (non ho mai tempo per me stesso…. Troppi impegni…non riesco a fermarmi etc. etc.) è interdetto, sparito dalla quotidianità

E, soprattutto, le prime cose a sparire dal nostro orizzonte e dalla zona-confort, sono le “cose fuori”.

Va da sè, che le uniche concessioni riguardano l’”aspetto dentro”, lo spazio interiore di ciascuno, il guardare “dentro la casa”, intesa come luogo fisico abitato, e anche come luogo dell’anima.

Questo luogo improvvisamente si spalanca a noi, e quello che abbiamo sempre cercato di evitare, ora lo incontriamo per forza.

Che succede se il tempo riempito dal lavoro sparisce? Se la palestra non mi supporta più per sfogare lo stress accumulato? Se pizza, incontri, gite, mostre, non sono più praticabili?

Improvvisamente mi trovo a fare i conti con il mio vuoto, quello in cui confusamente accatastavo pseudo – riempitivi, magari per non fare i conti con la verità di ciò che manca, e su cui devo dichiarare la mia inadeguatezza o, peggio, il “ fallimento “? Mi rivolgo a questo vuoto: macerie e rovine attraggono improvvisamente la mia attenzione. Come faccio, ora, ad evitare lo sguardo accusatorio di mio figlio? La carenza di affetto? L’insoddisfazione sessuale? Lo smarrimento di fronte all’ignoto? Dove fuggo?

E abbiamo paura. Infatti, secondo me, non abbiamo tanto paura di ammalarci (ok, poco più di un’influenza stagionale), ma abbiamo paura di fermarci e guardare quello che abbiamo e non abbiamo combinato con noi stessi fino ad ora.

La scena apocalittica dell’8 marzo alla stazione di Milano (gente in fuga dopo le ultime disposizioni ministeriali), ha questo significato: la fuga da quello che sembra immobilità, prigionia, soffocamento. E’ claustrofobia allo stato puro.

Nel non fare emerge il silenzio.

Creiamo silenzio. Già, silenzio. Ma sappiamo stare nel silenzio? Siamo capaci, davvero, di fermarci? Di stare?

Noi psicologi sappiamo bene come le persone con un io molto labile, siano terrorizzate dal silenzio. Vivere in campagna con il canto dei grilli e del vento, senza vicini, e senza la possibilità di trovare negozi e gente furi dal portone, può essere inquietante e ansiogeno.

Ora, in questo periodo, sono privilegiate le persone che hanno già da tempo iniziato percorsi meditativi, di silenzio interiore, di ricerca personale e di conti con il passato.

L’altro aspetto riguarda l’ombra. Tutti, inevitabilmente, oggi, incontriamo l’ombra. Le parti nascoste e temute di noi: l’avidità, la rabbia, l’invidia, l’intolleranza, il menefreghismo, l’egoismo. Ed è proprio quello che ci succede se, non potendo trovare riempitivi, ci fermiamo, e restiamo in ascolto delle nostre sensazioni ed emozioni: l’evento primario non è l’incontro con l’angelo, ma con i nostri demoni interni. Siamo capaci di guardarli?

Il risvolto psicologico è davvero tanto importante in tempi di virus….

Ecco cosa non capiscono ancora coloro i quali raccomandano: “Non abbiate paura! Non bisogna aver paura!” Come se la paura, anziché essere un elemento primario, fosse un interruttore che  si può accendere e spegnere a piacimento .

E se, invece, dovessimo imparare ad aver paura? Se le nostre società fossero davvero, tutte, malate di fuga dalla paura, di evitamento dalla paura?

Se, per una volta, ci soffermassimo a trasformare le nostre paure in un sacro rispetto della natura e della fragilità umana, anziché soffocarla negli angoli più reconditi del nostro ego? Riflettiamo: quindici giorni, e tutti i pilastri delle nostre solide società occidentali vanno in pezzi.

Ci sentivamo così potenti, nelle nostre vite privilegiate, già: privilegiate in maggioranza. Nonostante le tasse, l’Inps, le bollette, e la moglie rompiballe. Come ci sembravano lontane le scene di guerra, la sofferenza dei migranti, le disgrazie del continente africano…

Ora, improvvisamente, come in una moviola, tutti gli spettri si avvicinano e ci evocano ricordi sepolti, lontani, trasmessi da passate generazioni, quando la vita non era così protetta e sicura.

Ma la vita non è mai protetta e sicura. Una lente deformata ce la mostra così: una parte del mondo vive nel dolore ed ora abbiamo noi un piccolo assaggio di tutto questo.

Forse, ad alcuni, si aprirà il cuore. Ad altri si finirà di chiudere. Qualcuno scapperà e andrà in giro a contagiare il mondo, altri sapranno stare a casa, e affrontare i propri demoni. Non ci saranno molte distrazioni, per un po’.

Che magnifica opportunità. Ci chiederemo: cosa sono io, al netto di tutto? Forse potremo fare delle scoperte avvincenti e partire per un nuovo viaggio, per territori inesplorati , forse più interessanti dell’ultimo safari in Kenia.

Sì, decisamente più interessante, perchè riguarda le nostre vite, e quelle di chi amiamo.

Abbiamo paura? Sì. E’ giusto avere paura quando ci si rende conto di quanto la vita è un dono, di quanto è sacro e degno di rispetto il territorio dell’anima. Viviamocela, per una volta. Attraversiamola. Scopriamo di cosa è fatta.

Un’ultima cosa: alcuni profeti e “illuminati” di passaggio , quelli che sentono le “vibrazioni negative” e cose simili, tirano fuori l’ipotesi di un potere oscuro umano che trama ai danni della evoluzione spirituale e crea virus in laboratorio e poi li diffonde al solo scopo di terrorizzare le masse e tenerle nell’ombra. In mancanza di prove certe e conclamate, mi sembra che dietro a queste ipotesi ci sia il rifiuto di considerare che possa esistere qualcosa che non sia opera dell’uomo.

La difficoltà è questa: accettare l’idea che non siamo gli artefici onnipotenti, ma solo dei piccoli abitanti di passaggio. Abbandoniamoci allo tsunami, è arrivato anche per noi, come per tanti altri fratelli e tante altre sorelle di questo mondo.

La natura, come sempre, ci verrà incontro. L’unica cosa che possiamo fare è andare nel verde, a contatto con gli alberi, con i giardini, con l’acqua, in solitudine, sentendoci parte e non al centro del tutto. La natura, come sempre, è insieme pericolosa e salvifica, ci contiene e ci regola. Siamo noi umani a doverne imparare le leggi.

 

(1) Il termine Somatopsichico indica un approccio globale allo stato di salute individuale. Per esempio l’emozione paura, se non attraversata e risolta, si traduce in uno squilibrio del sistema immunitario.