04 Apr Il Mito di Edipo:una traccia patologica generazionale

La storia: Laio, re di Tebe, poco dopo le nozze con Giocasta, riceve da un oracolo la predizione che un eventuale figlio, nato da queste nozze, lo avrebbe ucciso. Per questa ragione Laio, dopo la nascita del figlio, decide di sbarazzarsene. Dopo varie traversie, il bambino viene adottato dal re Polibo, che gli dà il nome di Edipo. Edipo, una volta cresciuto, riceve la predizione di un Oracolo di essere destinato ad uccidere il proprio padre e a sposare la madre. Per sfuggire a questo destino, Edipo si allontana da quella che crede la propria famiglia. Durante il viaggio verso la Beozia incontra il carro su cui viaggia Laio, il suo vero padre, che gli intima di cedere il passo. Poiché Edipo si rifiuta, l’auriga di Laio lo colpisce con un bastone e gli ferisce il piede con una ruota. Edipo, allora, uccide tutti gli occupanti del carro ivi compreso Laio. Quando giungerà più tardi a Tebe, Edipo troverà la città a lutto per la perdita di Laio, ucciso mentre si stava recando a consultare l’Oracolo in merito alla Sfinge, un mostro pericoloso che divorava chiunque gli passasse accanto e non sapesse rispondere al suo indovinello. Vista la situazione, il reggente di Tebe, il cognato di Laio, decide di offrire il trono e la mano della propria sorella Giocasta, a chi avesse saputo rispondere a tale indovinello liberando la città dalla presenza minacciosa della Sfinge. Edipo dà risposta all’enigma (“Quale essere cammina al mattino su quattro zampe, su due a mezzogiorno e su tre alla sera ed è tanto più debole quante più zampe ha?”). La Sfinge viene sconfitta e la città liberata, ma il vaticinio si compie: Edipo sposa la propria madre, dopo aver ucciso il proprio padre. Una volta appresa la verità, Edipo si acceca e la madre, Giocasta si impicca.

Inizierei con l’osservazione del bilanciamento tra maschile e femminile nel Mito. Vari autori hanno osservato che il femminile risulta essere totalmente passivo e che Giocasta è ferma nell’attesa degli eventi. Non partecipa con nessuna azione e a nessun livello al loro svolgimento e resta inerte fino alla conclusione fatale.

Il maschile invece sembra essere attivo e presente, come elemento conflittuale, e come elemento dinamico, che si sposta continuamente da un posto all’altro della scena: tale lettura sembrerebbe confermare la divisione tra un maschile aggressivo e un femminile statico. Sembrerebbe inoltre attribuire la responsabilità degli eventi al “fare” maschile.

Invece non è così. Se andiamo ad esplorare le storie antecedenti a questa, emergono due elementi: una sostanziale assenza dell’elemento paterno e la presenza di un femminile risucchiante, dispotico e onnipotente. Se andiamo indietro nella storia familiare di Laio, scopriamo che esiste una maledizione, una sorta di traccia energetica patologica, che percorre come un filo la successione delle generazioni.

La storia inizia con il rapimento di Europa da parte di Zeus che se ne era invaghito. I fratelli di Europa iniziarono a cercarla. Uno dei fratelli, Cadmo, nel corso di tale ricerca si trovò a fondare Tebe. La mitologia vuole che Cadmo e la sua stirpe (di cui fa parte Laio, padre di Edipo) siano perseguitati da terribili sventure a causa della gelosia di Era, moglie (e sorella!) di Zeus, in relazione al ratto di Europa.

Dunque la maledizione della stirpe proviene dall’odio della Dea-Madre.

Continuiamo a viaggiare nelle molte storie di questa stirpe semidivina. Euripide narra che in una delle molte leggende, Laio, il padre di Edipo, esule alla corte di Re Pelope, si innamora del figlio del Re (Crisippo) e lo rapisce. Da quanto narra Euripide, Crisippo sarebbe stato l’inventore dell’amore omosessuale. La storia viene narrata in diverse versioni. In una di queste Crisippo, per la vergogna, si sarebbe ucciso. In un’altra, il Re Pelope, suo padre, sarebbe riuscito a riprenderselo muovendo le proprie armate contro Laio. In ogni caso, riemerge il tema della maledizione: infatti, a causa di questo gesto, tutta la stirpe di Laio sarebbe stata maledetta. Il mito vuole che proprio Pelope pronunci la maledizione edipica, ovvero: se Laio avesse mai avuto un figlio, questi l’avrebbe ucciso.

In realtà, in che cosa consiste tale maledizione? Secondo la nostra interpretazione la “maledizione” altro non è che la Simbiosi, la mancata separazione dalla madre onnipotente e vendicatrice, che tiene i suoi figli legati a sé e non permette loro di individuarsi. La maledizione è l’impossibilità di una individuazione, è il permanere nello spazio materno, nella confusione in cui non è possibile crescita, né acquisizione di coscienza. Fino al momento di Edipo: il Mito di Edipo è appunto il momento zero, è il passaggio dal caos della inconsapevolezza al ritrovamento della verità e, quindi, alla possibilità di acquisire la consapevolezza.

Se torniamo alla storia di Laio, vediamo che nell’innamorarsi di una persona del suo stesso sesso, ci mostra come non si sia mai separato dalla propria madre. Nella dinamica della omosessualità è presente l’ identificazione con il femminile e l’ assenza di un padre in grado di aiutare il figlio a separarsi dalla madre. Il figlio resta nella madre, nel suo territorio, e non perviene mai alla conquista della propria identità maschile. Questa mancanza di separazione e definizione di sé viene confermata dalla scelta di sposare Giocasta.

In realtà il nome è Iocasta, nome associato a quello della alla Potnia Hera, antica divinità mediterranea. La saga di Laio conteneva un motivo rituale di grande importanza, ovvero le sacre nozze con Iocasta-Hera. Bisogna sapere che la figura di Laio sembra confondersi, ad un dato momento, con quella stessa di Zeus; quindi in realtà, Laio, si ritrova sposato ad una donna-dea associata alla dea-madre, sua progenitrice. Questo, insieme con l’indizio dell’attrazione verso il giovinetto, sembra essere una prova abbastanza evidente del suo essere rimasto all’interno del campo materno. Quando ne diventerà padre, Laio teme Edipo ed è geloso di lui, quasi come se fosse un rivale sul suo stesso piano: ovvero un fratello, e non un figlio, perché Laio, in realtà, proietta su Giocasta una figura materna. Laio non può essere un padre per Edipo, perché non può insegnargli un percorso che egli stesso non ha compiuto, ovvero non potrà aiutarlo a diventare un uomo, a separarsi dalla propria madre, ad andare verso le altre donne.

Anche Edipo non viene fuori dal nulla. Leggendariamente Edipo era il nome di un demone ctonico della fertilità legato a Demeter, sua madre originaria. Evidentemente la madre di Edipo non può essere diversa dalla dea della terra e si dice nella mitologia che dove la terra è la Grande Madre “anche i suoi figli sono contemporaneamente suoi sposi”. Sembra nel mito echeggiare anche il tema della rinascita ciclica della vita. Infatti, il figlio nato in primavera dalla Madre Terra deve in inverno subire sofferenze o morte.

Ma c’è un altro aspetto di questa espiazione… Ê Il passaggio dal divino all’umano, quando il dio diviene uomo, e la Terra una donna mortale…

Ciò che è permesso al di là, nella sfera divina, ovvero l’incesto, qui, nella materia, sembra corrompersi e diventare “colpa”. E, sulla colpa, grava la vendetta umana imposta da una figura divina e sfocia, come ultimo atto, nella maledizione contro i figli. La dea madre-sposa di Edipo si rifà alla figura di Demeter, punitrice delle violazioni del diritto familiare. Possiamo anche ricollegarla a Erinys, immagine della terra irata nel momento in cui l’ordine famigliare è violato.

Echeggia, qui, il tema dell’onnipotenza della Grande Madre, ovvero qualcosa di infinitamente più grande di noi, contro cui nulla si può, che domina, determina, impone, e si vendica se il figlio osa sottrarsi al suo potere. Nel percorso analitico c’è sempre un momento topico, in cui si incontra la grande paura, la paura di essere distrutti dalle conseguenze del proprio vivere indipendentemente dall’altro. E’ una scoperta immensa, la scoperta che la propria paura di essere solo e di separarsi dall’altro, risale ai tempi della nostra preistoria, ai tempi in cui essere soli avrebbe significato la morte. Da qui nasce l’immagine della madre risucchiante, la dea vendicatrice e crudele, che arriva ad un certo punto come archetipo nell’immaginario simbolico di questi percorsi.

Di tale ferocia ritroviamo traccia, nel Mito di Edipo, nella figura della Sfinge. La Sfinge, forma di origine preellenica e mediterranea, ha delle fattezze anomale: il suo corpo è quello di un leone alato, la testa è quella di una donna (l’accoppiamento va ricercato nella rappresentazione della dea sul suo animale sacro, il leone alato).Si può associare alla dea Hepit, divinità femminile dispensatrice di fecondità ma anche decimatrice di uomini.

Pian piano emerge la funzione di Edipo, dio che si fa uomo, con un proprio compito ben preciso: egli deve sconfiggere la Grande Madre, deve uscire dal suo dominio, e sconfiggerne la maledizione, ovvero l’impossibilità di venirne fuori. Simbolicamente, Edipo deve operare una trasmutazione profonda, separandosi dalla presenza oggettuale interna, non dalla madre in sé.

Il viaggio dell’eroe non è una peregrinazione senza senso, ma percorso verso la propria individuazione. Il Mito di Edipo rappresenta la creazione delle condizioni corrette affinché possa iniziare un cammino di libertà: è il mito che riguarda tutti i percorsi terapeutici e quelli iniziatici, ovvero l’uscita dalla confusione-fusione che determina la dipendenza dal Caso (=CAOS), che nel mito troviamo continuamente riproposto sotto forma di fato, Oracolo, Destino e così via. La nascita alla vera vita presuppone la possibilità di scelta, che sottrae l’uomo ai capricci della Sorte.