16 May In che tipo di relazioni inciampo?

In che tipo di relazioni inciampo?

Questa è una buona domanda, una domanda a cui tutti prima o poi abbiamo voglia di trovare risposta, per giungere a una maggior consapevolezza da un lato e, dall’altro, ad una interruzione delle infinite ripetizioni degli schemi più o meno fissi che mettiamo in opera.

Accade frequentemente, infatti, che abbandoniamo una relazione non più nutriente oppure, addirittura, conflittuale, per andarci ad infilare, di lì a breve, in un’altra che ne ripete sostanzialmente il copione.

Vediamo di fare un po’ di chiarezza in merito.

Nell’articolo di questo blog sul tema “Di pulsazione e amore” abbiamo messo in evidenza le caratteristiche di una relazione che abbiamo definita “risonante” con quelle di una relazione  “corazzata”.

Vorrei ora guardare meglio di cosa che è fatta questa corazza, e in che modo finisce per immobilizzare gli impulsi vitali dell’incontro tra due persone che si attraggono.

Intanto c’è da dire che la corazza non va demonizzata, ma compresa: non è altro che la strutturazione individuale, fisica, mentale, emozionale che si è venuta a irrigidire nel corso del tempo per l’esigenza di sopravvivere agli urti della vita.

Due persone posizionate sulla rigidità danno vita a contatti “corazzati”, ovvero a situazioni in cui ha più importanza l’aspetto della personalità, del voler affermare le proprie ragioni, dell’imporsi sull’altro. Ecco il tipo di relazione “conflittuale” in cui ciascuno ha bisogno di prevalere, e per farlo adotta la manipolazione o, peggio, la violenza.

L’insieme delle difese che ciascuno di noi organizza è coerente con le prime interazioni di sé con l’altro. Questo significa che potremmo accorgerci che questi conflitti con il partner non sono altro che la proiezione sull’altro dei rapporti disfunzionali sperimentati nella prima infanzia, e mai risolti.

Abbiamo visto come la corazza sia stata utile a sopravvivere. Quindi, in qualche modo, dobbiamo ringraziarla. Infatti , se il tentativo di difendersi dai traumi non ha funzionato, e, quindi, non si è potuta organizzare una personalità vera e propria, tutta l’energia tende a concentrarsi “verso il sè” e non è disponibile per ingaggiare delle relazioni. Questo è il caso peggiore: la persona è chiusa nel proprio mondo (vedi autismo), disorganizzata e con uno scarso (o nullo) senso della realtà.

Perciò la cosiddetta corazza ( ovvero l’insieme delle difese personali) non va rotta o disprezzata, ma mobilizzata. La differenza sta tutta qui, tra il poter scegliere di abbandonarmi al flusso della vita quando le circostanze lo consentono o l’essere obbligato a tenere sempre alte le difese, anche quando intorno non ci sono pericoli. La differenza è tutta qui: la corazza è diventata una seconda pelle, o è un vestito che posso utilizzare al bisogno?

Ho una buona percezione della realtà o vedo il mondo come un campo di battaglia? Le persone che vivono con questo perenne senso di allarme sono dominate dalla paura dell’abbandono e, quindi, dalla diffidenza verso il mondo. C’è una richiesta continua di rassicurazione, di presenza costante: non viene tollerato l’allontanamento, quindi si mettono in essere relazioni “dipendenti”.  Questo tipo di relazione si vede molto frequentemente. 

Un altro tipo di relazione, strettamente legata alla dipendenza, è quella  simbiotica. Quasi sempre le corazze degli individui che danno vita ad una relazione di dipendenza, sono piene di buchi. Se non mi sento integro ed unito, e ho sempre bisogno dell’altro per non affrontare le mie paure, vado perennemente cercando un incastro. Ovvero, tento di ricreare la mia unità attraverso l’altro. Sono il pezzo di un puzzle, che di per sé non ha significato, senza l’incastro con gli altri pezzi.

Le due metà della coppia simbiotica vivono nella costante paura di affrontare la propria solitudine, percepita come pericolosa, proprio perché mutilante. Percepiscono l’altro come “parte di sé”. Parliamo in questo caso di “coppia fusionale”.

Tale atteggiamento si trasmette nei nuclei familiari da una generazione a un’altra. 

Parliamo di ciò che può accadere in una famiglia: le persone che la compongono tendono a confondersi in una “massa indifferenziata”. Si crea quindi uno “schema generazionale” che viene trasmesso da un sistema familiare ad un altro. E’ quello che spesso emerge nelle Costellazioni Familiari, o nello Psicodramma. 

Il compito terapeutico è quello di aiutare le persone a distinguersi da questa massa, e acquisire una propria identità. Si parla di separazione funzionale alla vita. D’altra parte quando nasciamo ci separiamo dal corpo di nostra madre. Fin dal primo vagito iniziamo il nostro percorso individuale nel mondo. Se ce lo permettono. Se ce lo possiamo consentire. Se non siamo gli “oggetti sé” narcisistici di nostro padre e nostra madre.

Se abbiamo un padre e una madre che ci lasciano evolvere nel modo unico e originale che ci compete, e non come prolungamenti di sé.

Jung parlava di distinguere il Sè Idem (ovvero il Sè Uguale) dal Sè Ipse (ovvero il mio Io, con la mia unicità).

Quindi l’unione sana tra me e l’altro avviene quando ho realizzato la mia unità (e unicità).

Ritornando a W.Reich e alla sua visione del mondo, parliamo del Self come una unità Somatopsicologica, ovvero dell’individuo come un campo energetico che pulsa in modo coerente e armonico, e conserva memoria di questa pulsatività nelle proprie cellule. Ha la memoria profonda di ciò che è vita, della propria provenienza, della propria destinazione, del proprio progetto evolutivo nella evoluzione del mondo.

Tutto questo è molto bello, ma: come si fa a realizzarlo nella propria quotidianità, e soprattutto nella relazione con l’altro?

Innanzitutto dobbiamo chiederci una cosa: cosa voglio? Voglio nutrire il mio campo di risonanza, renderlo armonico, oppure voglio avere potere? Cosa è più importante per me, com-prendere o avere ragione?

Avere amore significa principalmente aprire il cuore. E la vita si incarica perennemente di farlo. Ci fa incontrare il dolore, le cosiddette “prove” della vita: ma non è necessario. Non dobbiamo aspettare di trovarci contro un muro.

Tutti noi abbiamo la sacrosanta responsabilità della nostra personale evoluzione. E, questa, dipende solo ed esclusivamente da noi. Non possiamo aspettarcela dall’altro. 

La capacità di amare è la capacità di abbandonarsi al flusso dell’energia che ci permea e permea ogni cosa. Quindi, il problema non è “trovare l’amore” ma “essere nell’amore”. Non è cercare un oggetto su cui riversarlo, ma è una facoltà individuale, ed è frutto di un lavoro. Per quanto può sembrare strano la cosa più naturale del mondo, l’amore, dipende dalla riconquista di una naturalità vitale che abbiamo perso. Non l’abbiamo più, a causa degli indurimenti che costituiscono la nostra personalità.

Ciò significa che abbiamo l’opportunità di far evolvere le nostre relazioni trasformando noi stessi e la nostra qualità umana.

Terminiamo quindi proponendo la visione della relazione sana in termini energetici: la relazione sana è l’incontro tra due campi di energia pulsanti e individuati che danno vita ad un terzo campo, quindi non si confondono, ma mantengono la propria individualità, andando a nutrire lo scambio tra di loro. Questo fa sì che nella relazione sana non ci possa essere uno che dà energia e l’altro che risucchia, perché ambedue danno e ricevono da un “piatto comune”, ovvero il campo dove si incontrano le rispettive energie.

Il sistema, nel suo complesso, è radiante, cioè comunica con altri campi, non li esclude. Ecco perché, a mio avviso, la coppia sana non è chiusa, ma aperta al mondo ( e non stiamo parlando di fedeltà, sarebbe un capito troppo vasto da affrontare in questo articolo).

E’ un mondo amoroso, che crea naturalmente altri mondi amorosi.

Un capitolo a parte merita la separazione: considerare la relazione come un sistema vivente con una propria identità, ci responsabilizza e ci fa capire che non possiamo semplicemente troncarle. E’ necessario scioglierle, altrimenti si ripetono in altre relazioni. In questo caso, siamo in trappola. Se ce ne accorgiamo, possiamo intervenire. Altrimenti, non possiamo farci niente: siamo dei burattini, nelle mani del destino.