09 Apr I viaggi epici della Conoscenza nella dimensione mitologica
I viaggi epici della conoscenza nella dimensione mitologica
In questo saggio mi sono interrogata sulla funzione del Mito, in particolare di due Miti, quello di Diana ed Atteone e quello di Orfeo ed Euridice, in parallelo con la dimensione mitologica degli scritti Danteschi, non per speculazione filosofica, ma in quanto materia viva e concreta del mondo interiore. I tre Mondi di riferimento a cui mi sono ispirata sono:
Il Mito di Diana e Atteone
La storia di Diana e Atteone venne narrata da Ovidio nel terzo libro de “Le Metamorfosi”, rifacendosi esplicitamente al mito greco di Artemide e Atteone. In epoca imperiale, la dea romana Diana si era oramai sovrapposta, nell’immaginario collettivo, alla figura della greca Artemide. Atteone fu allevato dal centauro Chirone che lo addestrò all’uso delle armi. Un giorno, durante una battuta di caccia, il giovane si perse con i suoi cani in un bosco sconosciuto. Cercando la via d’uscita, giunse in una radura con una grotta che, al suo interno, custodiva un laghetto dall’acqua limpidissima, la fonte Parteia. In questo luogo sacro Diana, la dea vergine, stava facendo il bagno nuda con le sue ninfe. Sorpresa da Atteone in questo momento di grande intimità, Diana si adirò a tal punto da gettargli dell’acqua in faccia, trasformandolo in un cervo. I suoi cani, non riconoscendolo, si avventarono su di lui e lo sbranarono: da cacciatore Atteone era diventato una preda.
Il Mito di Orfeo e Euridice
Orfeo s’innamora, ricambiato, della ninfa Euridice, e la sposa. Eppure il destino dei due amanti nasce sotto una cattiva stella. Come racconta Virgilio nelle Georgiche, di Euridice s’invaghisce anche il pastore Aristeo, che l’insegue per farla sua e, mentre scappa, Euridice è morsa fatalmente da un serpente. Appena Orfeo apprende la notizia, si reca negli inferi per riaverla. Scende fino allo Stige, vince ogni ostacolo grazie alla lira e si presenta a Persefone e a Ade, i signori dell’oltretomba. Canta il suo amore per Euridice e chiede che gli venga data la possibilità di continuare a vivere con lei. Tale è la forza del suo amore e del suo canto che Persefone, Ade, il cane Cerbero e perfino le implacabili Furie si commuovono. Gli viene quindi accordato di portare con sé Euridice, ma a un patto: lui andrà avanti, lei lo seguirà, e Orfeo non potrà mai girarsi indietro, perché altrimenti Euridice tornerà per sempre tra le ombre dei defunti. Nella risalita, però, mentre i due amanti sono quasi arrivati alla luce, Orfeo non resiste alla tentazione e si volta. Nel tempo di un attimo Euridice scompare per sempre nell’abisso. Distrutto e impietrito, Orfeo non trova più pace e vaga per la terra, rifiutando la vita e l’amore delle altre donne; per questo le Menadi – o Baccanti – si vendicano di lui, che pure era legato a Dioniso, e lo fanno a pezzi gettandone i resti nel fiume Ebro.
Il mito in Dante Alighieri
I primi due racconti sono messi in relazione con quella che è la dimensione mitologica della Donna angelicata, Beatrice, dalla Vita Nova alla Divina Commedia.
Premessa
Quando la prima volta mi sono imbattuta nel Mito di Diana ed Atteone, mi sono chiesta:”Perchè gli antichi lo hanno scritto? Di che materia si sono serviti? Quali esperienze li hanno ispirati?” E, molto più prosaicamente: “Perchè mai Atteone si è andato a mettere nei guai?” E’ la domanda che si pone l’amante di fronte al fallimento amoroso. Che ci siamo posti tutti, almeno una volta nella vita. Credo che la risposta definitiva risieda nel fatto che sarebbe stato praticamente impossibile non farlo. L’Amante ha l’assoluta necessità di mettersi nei guai. E’ spinto da una forza magica e misteriosa, alla quale è impossibile sottrarsi. O meglio, sottrarsi a questa Forza significherebbe farsi ancora più male .
Atteone ha pagato con la vita.
Orfeo ha fallito nel suo intento, ma è tornato sano e salvo al mondo (senza Euridice)
Dante è riuscito nel suo intento ed ha visto la luce.
Come scrive Barthes con suprema ironia chiosando sulla figura del Werther di Goethe:
Ci sono degli innamorati che non si suicidano: dal “tunnel che si imbocca dopo l’incontro amoroso, può darsi che io riesca a uscire: rivedo la luce, sia che io riesca a dare all’amore infelice una soluzione dialettica (continuo a tenermi l’amore ma mi sbarazzo dell’ipnosi) sia che, abbandonato quell’amore, io mi rimetta in corsa (da Frammenti di un discorso amoroso*)
Tuttavia, qualcosa accomuna i tre Cercatori. Io definisco “passeggeri” coloro che si muovono verso la ricerca della Conoscenza. Ma questi ultimi esistono nella realtà, li puoi incontrare per strada, mentre nel Mito puoi solo rintracciare le Funzioni cui i protagonisti alludono. Atteone e Orfeo non hanno calcato il palcoscenico del mondo, ma abitato un indefinibile altrove, che peraltro, mostra i caratteri di una modernità sconcertante. Il Mito è cosa viva.
Dante invece ha abitato la storia ma nondimeno ha vissuto nell’Altrove della sua Opera e lì è destinato a mostrarci per sempre le figure del Mito.
Il Mito, e le figure mitologiche, sono quando mai concrete. Il Mito però , come anche la poesia, nasconde tale concretezza e occulta i significati, anziché svelarli. Allude, senza dichiarare e dall’oscuro mondo delle ombre (come nel mondo orfico) o dal rifulgente bagliore della Luce (come nel Paradiso Dantesco), è lì a indicarci chi siamo, da dove veniamo e, persino, dove stiamo andando. Ogni elemento mitologico, infatti, allude a una funzione prettamente umana. E lo fa per enigmi.
L’attualità del pensare mitologico
Ora, sulle conseguenze del vivere oggi senza la guida della mitologia e del perchè ancora oggi il Mito è lì ad illuminare la strada di noi poveri mortali, sono stati scritti fiumi di parole. I Miti sono importanti non solo perchè attraverso di loro possiamo comprendere meglio i nostri antenati, ma perchè possiamo conoscere noi stessi. Perchè di figure simboliche sono pieni i nostri sogni. Gli insegnamenti di Jung sono imperniati intorno all’infinita serie di traslazioni che i Miti hanno compiuto nel corso del tempo per infilarsi intatti nei simboli del vivere quotidiano.
Mi sono interessata di questo come psicologa.
La visione funzionale
Tornando al Mito di Diana ed Atteone, la suggestione è stata in parte filosofica. Mi ha ispirato Giordano Bruno nel suo saggio sul Mito di Atteone.
Atteone, scrive Giordano Bruno, è il Filosofo che vuole conoscere la Verità, anzi contemplarla , nella proprie sete di sapienza divina. Per farlo offre la sua stessa vita: la morte di Atteone non è un incidente di percorso, né un evento negativo. E’ un tramite per giungere alla vera vita. Bruno si identifica, credo, nella figura di Atteone, dal momento che la trasformazione in cervo gli impedisce di narrare (e di far arrivare a tutti) la Verità svelata, il frutto della propria conoscenza tanto dolorosamente pagato.
Ma c’è un’altra lente per guardare al Mito.
Nello svolgimento di un percorso analitico, noi dobbiamo incontrare la Depressione (la discesa nell’Ade) quale passaggio difficile per approdare alla nostra più profonda verità. Dobbiamo in qualche modo morire a noi stessi, per rinascere ad un’altra vita, più autentica e sincera, senza maschere e fingimenti. Quindi la depressione, a meno che non sia una condizione patologica cronica, non è di per se stessa negativa. Si può “scendere” nelle profondità del proprio spazio interiore, e risalirne vivi, anzi, rinati. In questo ci può venire incontro la coppia simbolico-alchemica di Orfeo/Euridice. Orfeo scende nell’Ade con un preciso intento: riportare al mondo dei vivi, di cui Egli fa parte, la sua amata. La condizione , però, non viene soddisfatta: che non si volti a guardarla. Perchè, allora, Orfeo si volta? E’ un errore? Si confonde? Non credo affatto. Ogni cosa nel Mito ha una sua precisa Ragione ed è causativa di effetti voluti.
Io credo che si volti perchè in realtà Euridice rappresenta la sua parte-ombra (chiamiamo ancora Jung in causa). La guarda, per un attimo, per poi lasciare che resti nelle profondità dell’inconscio. La conoscenza dell’ombra è disvelata. Non deve essere portata alla luce, ma lasciata nel suo ambiente d’elezione, lo spazio occulto del desiderio. Ancora una volta le digressioni di Barthes sul discorso amoroso ci illuminano.
Barthes ci parla di atopia: “ l’altro che io amo e che mi affascina è atopos…l’Immagine irripetibile che corrisponde miracolosamente alla specialità del mio desiderio. E’ la figura della mia verità”
In quanto tale non può esistere nel mondo reale. Resta, e deve farlo, una Immagine. E, come ha compreso Blanchot (L’infinito intrattenimento) il desiderio vive nello spazio dell’assenza. Nel momento in cui raggiungo l’oggetto del mio desiderio, affinché resti tale, me ne devo separare. Perchè è l’incessante movimento del desiderare che mi fa muovere.
In Dante Alighieri questo movimento incessante verso la Conoscenza si concretizza grazie alla figura di Beatrice, che non è la Bice della sua biografia (sposata, e che peraltro Dante stesso dice di aver incontrato solo due volte), ma la Donna di tutte le Donne, l’essere angelicato e Sofia, la Matrice di ogni conoscenza possibile. Per incontrarla attraversa l’Inferno e la raggiunge in Paradiso, dove può contemplarne la bellezza assoluta. Assoluta, in quanto non più mortale. Assoluta, in quanto irraggiungibile. Assoluta, in quanto proiezione di una immagine.
La funzione spirituale del Mito incontra la materia oscura della carne e produce una frizione che genera nuova Conoscenza. Ma il mondo reale è diverso. Dante è un uomo, con le sue contraddizioni e le sue zone d’ombra. E’ questo che ho sentito di riconoscere nelle poesie dedicate a Beatrice: la lotta eterna tra la luce e l’ombra, tra la carne e lo spirito, la loro mai avvenuta riconciliazione, soprattutto ai tempi di Dante. Nelle stanze della Vita Nova, si avverte la disperata inquietudine di un essere mortale, che si confronta con la non finitezza dell’Altrove, di fronte a cui si sente inerme, e sopraffatto .
Tuttavia, anche nella materia cavernosa, per citare Platone, nelle umane meschinità e nei vizi di questo mondo, l’uscita dalle tenebre è rappresentata quasi sempre da una Donna.
La funzione del Femminile
Il Mito ci ricorda la funzione del Femminile. E’ nella profonda essenza del Femminile lo stare nel cerchio della propria unità, della propria completezza, che non va fuori di sé, ma in sé trova il senso dell’esserci. Lou Andreas Salomè, ci ha offerto di questa Funzione in uno scritto illuminante.
Da L’Erotismo (l’umano come donna):
“Tutto nella donna sembra implodere per fondersi nella vita, invece di esplodere all’esterno: quasi che, in lei, la vita girasse su se stessa, com prigioniera della propria perfezione e non potesse uscirne senza ferite o alterazioni, come sangue che non può sgorgare dalla pelle, In tutte le sue manifestazioni più alte mai questa vita irrompe all’esterno staccata o separata da sé” p 23
E ancora
“ Per questo la donna comprende cose che alla ragione in quanto tale non appaiono plausibili: essa può accogliere in sé ed assimilare al suo organismo molte più contraddizioni dell’uomo, che deve anzitutto risolverle con la teoria, per poter capire se stesso” p.25
Il Mito di Diana e il suo incontro con Atteone, nel suo territorio, ci illuminano. Diana, infatti, era considerata il corrispettivo femminile di Giano Bifronte ( Djana). Giano è anche “ …il simbolo del mondo che si muove (eat) incessantemente, girando in cerchio, partendo da sé stesso per tornare a sé stesso” ( P. Klossowski, op.cit. pag,104) e questa interpretazione “sarebbe altrettanto valida per Diana, che pure si muove senza posa, secondo la periodicità della sua natura”.
Orfeo, Atteone e lo stesso Dante, si inoltrano in un viaggio epico, pieno di ostacoli, che ha una meta: raggiungere la Conoscenza attraverso il Femminile, che, invece, non ha la necessità di intraprendere nulla, ma è lì, Ortus Conclusus, immersa nello spazio sapienziale, quello che ho definito l’ Altrove.
Da Klossowski apprendiamo qualcosa in più riguardo al Mito di Diana e Atteone:
“… è Atteone che cammina, che si inoltra nello spazio, che arriva nel luogo in cui Diana si colloca in questa o quell’altra postura. Nella dimensione dello spazio assoluto, la distanza che separa Diana da Atteone è tanto assoluta quanto repentino e immediato è il loro contatto”
Il Femminile, dunque, non è statico, in attesa. Semplicemente agisce un movimento che è diverso da quello del Maschile. Entrambi questi movimenti (nel Sè e nel fuori da Sè) costituiscono l’Unità Funzionale della Vita, che si esprime in ogni essere e in ogni manifestazione, dal movimento della cellula a quello dei macroorganismi.
Conclusioni
Tutto questo non è un esercizio filosofico ma pratica vitale, percepibile quando si lavora in chiave energetica con le polarità. Questo lavoro viene praticato attraverso i Gruppi di Consapevolezza che conduco da venticinque anni. Mirati a superare gli aspetti della personalità, per condurre me stessa e le persone di cui sono temporaneamente alla guida, alla percezione dell’energia che si esprime attraverso la nostra forma corporea.
Attraverso l’attivazione del movimento, si cerca, attraverso una serie di pratiche appositamente studiate, di percepire la pulsazione energetica, ovvero la coerenza ritmica tra espansione e contrazione che caratterizza un organismo sano. La possiamo percepire nelle nostre cellule, nel ritmo del battito cardiaco, e in quello respiratorio. Nel mio libro “Nati dalle acque” spiego più approfonditamente che “il movimento di espansione, centrifugo, è dal centro verso la periferia, yang, con polarità maschile; quello di concentrazione è dalla periferia verso il centro, yin , con polarità femminile.” Il riequilibrio di questi due movimenti, il loro armonioso avvicendarsi, è lo scopo del lavoro energetico, ed è la caratteristica dell’ eu-trofismo cellulare, dei nostri organi e del sistema nervoso nel suo insieme.
Perché parlo del lavoro terapeutico? Per una ragione molto semplice: il Mito non è una storia inventata a caso, ma l’esatto rispecchiamento di come funziona la vita nella propria ciclicità. Le figure mitologiche sono anche riflesse nel nostro corpo, in quanto Campo di Coscienza incarnato.
Orfeo, Euridice, Diana, Atteone, e tutte le altre figure mitologiche, dalle più antiche alle più moderne vivono in noi, in ogni nostro respiro, in ogni battito del nostro cuore, in ogni cellula che ci compone. In tal modo il Femminile e il Maschile sono le polarità attraverso le quali svolgiamo la nostra ricerca, indipendentemente dalla nostra appartenenza ad un genere.
Forse, diventarne consapevoli, significa per noi, elevare la nostra vibrazione personale e assumere la responsabilità della umanità alla quale apparteniamo.
Riferimenti Bibliografici
Roland Barthes Frammenti di un discorso amoroso, tra. Di Renzo Gualtieri, Einaudi ed., 1979
C.G.Yung, gli Archetipi dell’inconscio collettivo, Boringhieri
Giordano Bruno, Il Mito di Atteone, Feltrinelli Ed.
Blanchot, L’infinito intrattenimento, Einaudi Paperbacks, 1977
Lou Andreas Salomè, L’Erotismo, La Tartaruga Edizioni 1985
Pierre Klossowwki, Il Bagno di Diana, Adelphi, Milano 2018
Cinzia Catullo, Nati dalle acque, Ed, Huna,Roma, 2016